Il coraggio di contare:
Storie di donne, finanza ed etica nell’Italia contemporanea. Di Natascha Lusenti.
«La finanza rende felici»
La relazione tra soldi e felicità – quella della prima categoria di Bauman, che conduce a una «vita con meno disagi e svantaggi, una vita priva di preoccupazioni».
Degli studi scientifici hanno dimostrato che ad un aumento della ricchezza, nel caso specifico superiore ai 100.000 dollari l’anno, non corrisponde al sentirsi più felici. I soldi, quindi, non farebbero la felicità. Non superata una certa quantità, almeno.
Altri ricercatori invece hanno evidenziato che soldi e felicità sono correlati.
Alla fine hanno concluso che i soldi possono fare la felicità per le persone che sono già felici, ma tra i più infelici tengono lontana l’infelicità solo fino a un certo punto.
E allora: perché ci sono persone più felici di altre? La genetica ci ha messo del suo per rispondere.
Simone de Beauvoir – felici non si nasce, si diventa.
Sono anni ormai che dico che i soldi sono l’ultimo tabù e mi piace spesso parlare di soldi anche se so che viene considerato cafone.
Soprattutto per una donna farlo ma se non se ne parla non si scardinerà questo tabù e soprattutto le donne continueremo a guadagnare di meno degli uomini.
Secondo una ricerca realizzata nel 2019 dal Museo del risparmio di Torino in collaborazione con la società di ricerche di mercato Episteme:
il 37 per cento delle donne in Italia non aveva un conto corrente.
Il 40 per cento tra quelle di età compresa tra i venticinque e i sessantaquattro anni non era finanziariamente autonoma.
Il 49 per cento delle donne monitorate da questa indagine diceva di conoscere la violenza economica per averla vissuta almeno una volta.
Il 4 marzo 2021 è stata pubblicata l’indagine intitolata:
La condizione economica delle donne in epoca Covid-19 e condotta, ancora una volta, dalla onlus WeWorld con la collaborazione della società di ricerche di mercato Ipsos, secondo cui, durante la pandemia, una donna su due dichiarava una diminuzione delle proprie entrate economiche; una donna su due aveva paura di perdere il lavoro; il 28 per cento delle donne non occupate e con figli aveva rinunciato a cercare un lavoro; due donne su cinque si erano fatte carico delle persone non autonome; più di quattro donne su dieci dipendevano economicamente dalla famiglia e dal partner.
Mi viene in mente l’articolo 1 della nostra Costituzione: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Quindi, di che Repubblica italiana parliamo quando parliamo di donne?
Marica mi ha dato una spiegazione, naturalmente, al suo tentennamento nella ricerca delle parole giuste con cui rispondere alla domanda sul suo rapporto con il denaro, mi ha detto che «dietro al tema della disponibilità economica c’è sempre» una questione «che riguarda il privilegio o comunque il contrario, quindi lo svantaggio. E quindi l’ho sempre avvertito come un tema delicato».
Il lavoro, come lo intende la nostra Costituzione, dovrebbe infatti permettere di riequilibrare le condizioni di svantaggio, di assottigliare il privilegio. La parola «lavoro» L’articolo 2 protegge i diritti inviolabili dell’uomo (indicato proprio così, con il maschile sovraesteso) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
L’articolo 3 impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione del paese.
Nell’articolo 4, la Repubblica riconosce a tutti i cittadini (anche qui, il plurale è al maschile) il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto; e poi naturalmente c’è l’articolo 1 che stabilisce che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
«una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità».
La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà, il 52 per cento, da esigenze di conciliazione e per il 19 per cento da considerazioni economiche.
In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5 per cento, divario che aumenta in presenza di figli ed arriva al 34 per cento in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni.
È interessante l’accenno alle «considerazioni economiche» che sono decisive per il 19 per cento delle donne che lasciano il lavoro. Di quali considerazioni economiche si sta parlando?
Il documento dice con parole chiare che: «L’occupazione femminile è caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne»23 e cita gli ultimi dati Eurostat disponibili per quantificare il divario tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini – 43 per cento, la media europea è del 36,2 per cento.
Inciso: nel 1948, la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite sanciva che «ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro». Fine dell’inciso. L’Italia sarà anche una repubblica fondata sul lavoro, ma non sul lavoro delle donne.
Il coraggio di contare: Storie di donne, finanza ed etica nell’Italia contemporanea, la trama:
Il coraggio di contare è un’esplorazione del denaro come prodotto umano, mezzo di cambiamento, strumento etico:
una raccolta di racconti ed esperienze che infrangono il luogo comune secondo cui donne e finanza apparterrebbero a due universi distanti e incomunicabili.
Alla scoperta di chi ogni giorno lavora per trasformare la ricchezza in qualcosa di tangibile e positivo per la comunità. In un paese in cui ancora molte donne non hanno un proprio conto corrente e non sono finanziariamente autonome, sono dipendenti dalla famiglia di origine o dal compagno e perciò esposte a fenomeni di violenza economica, è necessaria una presa di coscienza per garantire indipendenza e felicità anche a chi ne è stato storicamente escluso.
Natascha Lusenti ci porta a conoscere studentesse, imprenditrici, lavoratrici del terzo settore, psicologhe che ogni giorno operano con il denaro in funzione della collettività: da chi lotta contro la violenza di genere a chi con il cinema è riuscito a sensibilizzare milioni di persone sul posto nel mondo che a lungo è toccato alle donne.
Da chi promuove il giusto compenso per superare le divisioni sociali, a chi sostiene che il lavoro di cura andrebbe retribuito, dal mondo delle cooperative a quello della finanza etica.
Il suo è un cammino che unisce pensatrici femministe come Judith Butler o la premio Nobel Claudia Goldin all’esperienza delle donne che ha intervistato, passando per intellettuali quali Anna Bravo, Audre Lorde, Mark Fisher e Zygmunt Bauman.
Lusenti dà vita a un dialogo tra donne del presente e del passato che hanno immaginato e trovato il «coraggio di contare», indicando un futuro migliore per ogni persona.
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